martedì 24 maggio 2016

OTOMO YOSHIHIDE & PAAL NILSSEN-LOVE live @ Cinema Torresino (Padova) 22 Maggio

La strana coppia. A vederli così, uno di fianco all'altro, sembrano due pianeti impermeabili a qualsiasi collisione. Otomo Yoshihide ha l'aria rilassata di uno che va in gita. Cappello da G-Man per tenere parzialmente in ombra una fronte segnata dal tempo, jeans a zampetta, impermeabile/camicione scuro arrotolato sulle maniche. Se non facesse ridere anche me direi che le espressioni che passano in rassegna sul suo viso, durante il live set, ricordano un remix orientale dei tratti caratteristici di Bogart e Fellini (!) Il suo compare invece, di nero vestito, ha il cipiglio fiero dell'uomo nordeuropeo tutto d’un pezzo. Ma facciamo un po' di storia, perché questi due tipetti hanno ciascuno il loro bagaglio di esperienze di cui andar fieri. Yoshihide è un chitarrista con alle spalle studi di musica tradizionale giapponese e storia degli strumenti in Cina durante la rivoluzione culturale. Un etnomusicologo con la passione per il jazz e le espressioni schizoidi dei linguaggi del rock in opposition. Ha usato in passato il giradischi come uno strumento a sé, interpretando alla lettera la massima duchampiana “nessuna associazione è vietata”. Frutti di tale arte campionatoria/cut-up la potete trovare ben rappresentata nel primo disco autointitolato dei Ground Zero del 1992 e nel cd+dvd edito dalla Asphodel, The Multiple Otomo Project, del 2007. Molto altro ha fatto nel corso della carriera, imbastendo ensemble jazz-orchestrali, collaborazioni da una botta e via e realizzazioni di colonne sonore. Troppo materiale comunque per farsi un’idea di uno che non è mai stato inchiodato a un’identità sola e che non sa cosa sia il solipsismo del bravo musicista (metteteci pure vicino la difficoltà per noi a reperine i dischi. Gli import giapponesi uccidono!). Paal Nilssen-Love appartiene alla stessa categoria, quella dei batteristi perennemente a caccia di situazioni creative, dove mettersi alla prova. E quindi molte sono le uscite che le fotografano in copula con questo o quell'altro musicista. Io ho solo due dischi nella collezione che lo vedono protagonista: uno con l'enfant terrible del power electronics Lasse Marhaug e Maya S.K. Ratje sotto la sigla Slugfield; e l'altro, bellissimo e che vi caldeggio, su Rune Grammofon in compagnia di James Plotkin. Essendo 15 anni più giovane di Yoshihide (è del 1974) ci si aspetterebbe una discografia molto più contenuta come uscite. Ma basta una scorsa alle sue pagine discogs per accorgersi che la differenza non è poi molta con l'amico giapponese... Veniamo al concerto. L'inizio non è dei più sintonici. Anzi, sembra che ognuno dei due sia occupato per proprio conto a spacchettare un dono avvolto in fogli di carta stagnola, cercando di fare il meno rumore possibile. Però è un'impressione che sbiadisce subito, lasciando spazio all'idea che questo altro non è che un modo per preparare il terreno a quanto verrà. Da lì a poco infatti le traiettorie cominciano a marcarsi strette e i suoni sono finalmente liberi di dispiegarsi in una dimensione “altra”. L'intera suite dura circa tre quarti d'ora. E' un susseguirsi di onde di varia intensità, una fuga a perdifiato dall' “inizio mancante”. Le qualità sharrockiane della sei corde di Otomo e i suoi riff a imitazione dello scratching ricambiano gli assalti all'arma bianca della batteria. Di cornice in cornice, di passaggio in passaggio, i due strumenti si lanciano sempre più in profondità, staccandosi solo per decomprimere. Il secondo pezzo inizia invece con il chitarrista che si inumidisce la punta delle dita per poi strofinarle sul corpo della chitarra. Il rumore provocato dall'attrito è l'innesco per un gioco di superfici fessurizzate e grandi vuoti. Come degli specchi allineati uno di fronte all'altro con lo scopo di moltiplicare all'infinito l'immagine nell'immagine i suoni partono in botta e risposta, luminosi come le fratture quando il medico piazza una radiografia davanti alla luce. Il terzo e ultimo movimento, che sarà anche il più breve come durata, riprende un po' lo stesso discorso, chiudendo volutamente in maniera “irrisolta” il concerto. Non si dà gioco senza regole e non si dà impresa senza ostacoli. Tantomeno nell'improvvisazione. Yoshihide e Nilssen-Love questo lo sanno bene e devo dire che il loro lavoro sulla ridefinizione dei limiti in musica manda davvero bei lampi. Non avrò assistito al live della vita, quello è certo, ma se penso al furore tecnico&aguzzino di certe zornate o all’idea di improvvisazione tutta carina, legata coi lacci empatici&benedetti di un Nels Cline, beh, la mia preferenza andrà sempre ai due tizi che ho visto stasera.

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