domenica 29 gennaio 2017

CARLA DAL FORNO live @ Bar del Visionario (Udine) 27 Gennaio

You know what it's like” è stato per molti, compreso chi scrive, il disco rivelazione del 2016. Non stupisce dunque che l'hype intorno a Carla Dal Forno si sia diffuso non poco anche dalle nostre parti, arrivando a raccogliere consensi pure in quella fascia di ascoltatori che mai e poi mai si sarebbe spinta a dar una chance a un disco così sfuggente alle definizioni. Ok, a sponsorizzarlo è l'etichetta dei Raime, la Blackest Ever Black, ma bisogna tener presente che l'andazzo dell'appassionato medio qui da noi in Italia è talmente penoso che a volte solo il passaggio mediatico “giusto” può certificare e convincere della validità di una proposta che non viene dai soliti noti. Composto di quattro canzoni e quattro pezzi strumentali l'album ha il grande pregio di unire il il gusto per l'intrattenimento a quello della ricerca, sovrapponendo superfici irregolari e il calmo ondeggiare di linee melodiche e voce. Australiana di stanza a Berlino, la Dal Forno, altrettanto abilmente gioca con la propria immagine di ragazza sexissima ma che non fa niente per bucare lo schermo. A vederla nelle foto e dal vivo ricorda infatti tutta l'innocenza di una pop singer dei sixties appena uscita dall'adolescenza. La sala dl bar del Visionario è già bella piena quando arriviamo sul posto. Un po' trafelati a dire il vero perché oltre l'orario indicato sul calendario dell'evento. Ma il tutto deve ancora iniziare e quindi c'è modo di prender posto in prima fila e salutare i volti conosciuti...Ad accompagnarla c'è un tizio che si occupa di drum machine, theremin ed elettronicherie varie, mentre lei al basso e voce se ne sta sul ponte di comando a dirigere i giochi. L'atmosfera è intima e assorta. E i brani scivolano uno dietro l'altro infilando scampoli di paradiso nel bel mezzo di un tramestio umorale, trattenuto, che fa dell'enfasi luogo del mistero. A colpire sono gli spostamenti dei suoni-oggetto generati dalle macchine, dei fondali oleosi che talvolta si risvegliano in fremiti di ritmo e talaltra azzardano sfumature taglienti, di luce spoglia nel buio più nero che esista. La voce, delicata come quella di una Kendra Smith votata all'ethereal wave, e le linee del basso scolpiscono coi loro movimenti l'aria intorno e durante alcuni passaggi penso a una cosa che l'ascolto del disco mi aveva occultato o che forse è solo associazione strampalata del mio mio cervello: l'ombra dei Young Marble Giants - quel modo lì di iniziare e finire senza granché di svolgimento ma con impeto e fermezza, grattando via quanto non serve. Una breve pausa per annunciare due pezzi di prossima pubblicazione e il concerto finisce così come era iniziato. Nessun bis. Il pubblico si disperde tra bancone del bar e terrazza. Cerco di fermare le impressioni e far gli opportuni distinguo col disco che molte volte ho ascoltato negli ultimi mesi. Giungo alla conclusione che riuscire ad essere originali in quest'epoca di mille e nessuna originalità è difficile se non impossibile, ma che c'è ancora gente in giro motivata ad esplorare i confini dei linguaggi col cuore in mano e il massimo dell'onestà.

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